Una storia vera.

Ho deciso di scrivere di un periodo della mia vita di cui non ho mai parlato a nessuno. Ho deciso così perché mi è stato spiegato che scrivere delle proprie ossessioni o dei propri lati oscuri aiuta a fare uscire tali demoni da noi e per poter stare meglio.
Finora non ho mai parlato con nessuno di quello che mi è accaduto quando avevo tredici anni un po' per vergogna e un po' per timore che la mia storia non venisse capita per quello che era in realtà. Ci ho messo molti anni a rielaborare quello che mi era accaduto a quell'età e ancora tali ricordi transitano per la mia mente lasciandomi turbato ed eccitato allo stesso tempo.

Tutto è iniziato sul finire degli anni 70. I miei genitori erano assai impegnati con il loro lavoro per via di croniche difficoltà economiche e il loro rapporto era a pezzi tanto che in seguito hanno finito per divorziare.
Così decisero di affidarmi alle cure dei miei zii. La zia, una sorella di mio padre, prese molto a cuore la cosa e si prese cura di me come se fossi un figlio suo.
Fui mandato a scuola in un istituto cattolico perché era l'unico che teneva i ragazzi per l'intera giornata con un doposcuola e poteva offrire, come accadde nel mio caso, anche la possibilità di avere il vitto e l'alloggio come collegio.
Gli zii preferirono mandarmi a collegio per due ragioni: la scuola era scomoda da raggiungere ed era piuttosto lontana; inoltre, in tal modo, avrei potuto avere la compagnia delle mie cugine che erano pure loro a collegio e mie coetanee.
In quella scuola trascorsi circa otto anni, dalla prima elementare sino alla terza media. Molte insegnanti erano laiche e molte erano delle religiose senza voti oppure delle suore ordinate. La scuola era mista anche se maschi e femmine, al di fuori delle lezioni in classe, venivano tenuti separati negli alloggi.

In quella scuola conobbi molti amici e qualche amica. Tra loro vi era Cecilia (nome di fantasia) che io consideravo un vero e proprio angelo venuto giù dal cielo dato che aveva l'aspetto di uno di quei cherubini di cui era decorata l'ampia volta della chiesa dell'istituto.
Aveva capelli lunghi e biondi che scendevano sulle sue spalle formando boccoli simili a quelli dell'attrice Shirley Temple. Ella emanava un profumo inebriante misto tra il sapone da bucato e il caramello. Eravamo nella stessa classe e feci di tutto per diventare suo amico ed in effetti divenimmo amici.
Era difficile definire la relazione che avevo con Cecilia. Le volevo bene ma dentro di me sentivo un sentimento più profondo che mi turbava l'animo. Ogni momento libero che avevo cercavo di trascorrerlo con lei.

Come ho detto, nella scuola c'erano insegnanti laiche ma anche religiose e tra loro diverse suore. Una di loro era suor Ines, l'insegnante di matematica e geometria, che era una giovane donna di trentadue anni di origine spagnola che si era trasferita in Italia da una decina d'anni. Poi c'era suor Adele che ci insegnava italiano. La più temuta era però la direttrice suor Maria, l'insegnante di storia e geografia, che era la persona più severa ed inflessibile che io avessi mai incontrato.

Gli anni trascorsero tranquilli sino a quando giunsi alla prima media. A quel tempo i miei sentimenti per Cecilia iniziarono a farsi più profondi e incominciai a sperimentare dei turbamenti così intensi da provocarmi delle dolorose erezioni. Il dolore era tanto che ne parlai con suor Ines che era la figura che consideravo più materna all'interno dell'istituto. Lei fu molto disponibile con me e mi incoraggiò ad aprire il mio animo. Io lo feci con tutta l'ingenuità e assenza di malizia che poteva connotare un tredicenne in quegli anni.
Lai mi portò dalla dottoressa che ogni mercoledì veniva nell'istituto per visitare le suore.

L'ambulatorio dell'istituto era attrezzato per visite ginecologiche e il mezzo lettino aveva le staffe e tutto il resto. La dottoressa mi fece spogliare e suor Ines assistette all'intera visita con mio sommo imbarazzo. Fui fatto salire in piedi su un rialzo mentre la dottoressa si venne a sedere davanti a me. Mi prese in mano il pene e iniziò a scrutarlo da vicino. Poi mi fece scorrere la pelle per scoprirne la cappellina e notò che vi era una cospicua parte di essa che era attaccata al glande. Mi invitò a descrivere il dolore e le dissi che a volte, specie quando ero insieme a Cecilia, il pisellino mi diventava dritto e duro e iniziava a dolermi molto. Lei commentò che era per via dell'attaccatura del prepuzio che impediva al pene di estendersi completamente e tirando la pelle mi causava il dolore.
Mi prescrisse di spalmare una crema emolliente e di non impedire l'erezione poiché avrebbe gradualmente permesso il distacco della pelle dal glande.

Come ho detto, per tutto il tempo della visita suor Ines restò lì al mio fianco e assistette guardando ogni cosa. Ritornammo nella sala comune e poi proseguii le lezioni come sempre.

Il giorno dopo, venne da me suor Ines e mi portò nella sua stanza dove aveva anche il suo ufficio nella parte adibita a convento e dormitorio delle religiose. Ricordo che percorremmo un corridoio lunghissimo intervallato da finestre che facevano filtrare la luce del sole. A metà del corridoio c'era un'edicola con una statua della Madonna adorna di fiori freschi e candele.

Infine, entrammo nella sua stanza e subito dopo che fummo all'interno chiuse a chiave la porta dietro di noi con due mandate.
Mi fece stare in piedi mentre lei girò introno alla sua scrivania. Da un cassetto estrasse una scatola contenente un tubo di crema medicinale e disse che era quella prescritta dalla dottoressa. Successivamente mi disse di spogliarmi perché siccome costava molto voleva applicarmela lei direttamente per accertarsi che venisse messa bene e nella giusta quantità. Io acconsentii un po' perplesso e un po' preoccupato. Non desideravo che suor Ines mi toccasse ma nello stesso tempo non ci vedevo alcun male.

Mi tolsi i vestiti come richiesto e rimasi completamente nudo come desiderava suor Ines. Non capivo perché dovessi starmene completamente nudo se il tutto doveva ridursi allo spalmare della crema sul mio pene ma, comunque, la assecondai.
Lei si sedette su una poltroncina di legno con imbottiture color cremisi in modo da avere il mio pene direttamente di fronte a lei. Si protese verso di me e iniziò a replicare quello che aveva fatto la dottoressa il giorno prima. Mi toccò il pene, me lo carezzava con grande delicatezza per poi scappellarlo rivelandone l'attaccatura. Non diceva nulla ma con il volto mi venne così vicino che credetti di sfiorarle la punta del naso con la cappella.

Lei aprì il tubo di crema che in realtà era un gel, una sostanza trasparente e gelatinosa. Se ne cosparse una noce sul palmo della mano e iniziò ad applicarla al mio pene per poi afferrarlo con tutta la mano. Suor Ines iniziò a massaggiarmi il pene con movimenti delicati facendo scorrere avanti e indietro la pelle dicendomi che era quello di cui parlava la dottoressa e cioè incentivare l'erezione per aiutare il prepuzio a distaccarsi dalla cappella. Diceva queste parole con voce quasi sussurrante e rotta da sospiri.

Suor Ines ogni tanto aggiungeva una piccola quantità di gel e mi massaggiava in modo così sensuale che infine ebbi un'erezione. Il cazzo si irrigidì e divenne dritto e duro come una pietra. Guardai in giù e notai che suor Ines aveva infilato una mano sotto un lato della sua ampia veste nera. Teneva le gambe divaricate e notai che i movimenti della sua mano erano nel mezzo di esse.

Il dolore dell'erezione si fece sentire ma quello che mi provocava più sensazione era il movimento incessante della mano di suor Ines che mi masturbava. Io iniziai a provare una sensazione come di stare per svenire. Le ginocchia cominciavano a vacillare e facevo una gran fatica a sostenermi in piedi. Ogni tanto il mio corpo veniva scosso da piccoli spasmi e sentivo crescermi un'urgenza di fare come la pipì ma molto molto più intensa. Lei continuava a masturbarmi toccandosi sotto la veste e non riusciva a trattenere dei piccoli gemiti. Il suo volto era diventato rosso e ogni tanto chiudeva gli occhi mentre la bocca era socchiusa per lo sforzo che anche lei stava sopportando.

Poi mi sopraggiunse una crisi profonda che mi scosse così tanto che credetti di stare morendo. Il cazzo era così duro e mi tirava così tanto che credetti che mi stesse per scoppiare come una bomba. Infine, me ne venni. Fui colpito da spasmi incontrollabili e sopraggiunsero le contrazioni violente alla base del mio ventre. Ad ogni contrazione schizzai una enorme quantità di liquido trasparente e gelatinoso come quello che mi era stato spalmato. Ne spruzzavo a getti che colpivano in pieno volto suor Ines che se ne venne anche lei spalancando ancor più la bocca ed emettendo un rantolo profondo ed animalesco mentre serrava forte le gambe contro la mano celata alla mia vista dalla nera sottana. Spruzzai così tanto da infradiciarle tutto il volto e molto di quel seme entrò nella bocca di suor Ines che lo inghiottì per poi riaprirla ed accoglierne ancora per poi nuovamente inghiottire.

Quando quell'orgasmo finì lei mi lasciò il pene e mi accasciai su una poltroncina dietro di me. Lei si accasciò sulla sua con la testa all'indietro e gli occhi chiusi ansimante come dopo una intensa corsa. Mi ripresi e la osservai. Era completamente sporca di me. Aveva il volto completamente madido di sperma. Anche il velo e il collare bianco erano sporchi di grandi macchie di sperma. La gonna era punteggiata di grosse macchie rotonde. La mano era ancora infilata sotto la gonna e ciò la teneva sollevata da un lato dal quale potevo scorgere la gamba e la coscia di suor Ines che aveva calze bianche di cotone alte fino alla coscia trattenute da un nastro bianco annodato da un lato con un piccolo fiocco.

Suor Ines mi ripulì con un asciugamano, mi fece ricomporre e mi fece sedere nuovamente mentre ella si mise dietro ad un paravento per cambiarsi la veste. Sentivo che diceva tra sé e sé che sarebbe stato un bel problema giustificare quel disastro alla lavanderia dell'istituto e decise che era meglio portare la veste ad una lavanderia esterna. Si lavò il viso e si rivestì non senza che vedessi scorci del suo corpo che era molto femminile e attraente.

Ritornammo nella sala comune e nel tragitto mi spiegò quanto fosse sconveniente per entrambi che io parlassi con alcuno di ciò che era accaduto. Inoltre, mi disse che visto che la pelle non si era staccata, avremmo dovuto ripetere quel trattamento all'indomani.

Quella notte la passai in un sonno agitato. Il cazzo continuava a venirmi duro al pensiero di ciò che era accaduto e per l'aspettativa di ciò che si sarebbe ripetuto all'indomani e di cui racconterò nella seconda parte.
发布者 Devils_lawyer
11 月 前
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